domenica 8 settembre 2013

Gli Inti-Illimani


Gli Inti Illimani sono un gruppo vocale e strumentale cileno che nasce dal movimento della Nueva Canciòn Chilena. Tale movimento, nato in Cile negli anni sessanta, rielaborando il folklore latinoamericano, usa la musica come arma di lotta sociale e politica.

Erano un simbolo rivoluzionario negli anni ’70, quando mia madre aveva l’età mia di adesso. La sua generazione non può non ricordarsi quello slogan che veniva urlato per le strade durante le manifestazioni:  'El pueblo unido jamas seràs vencido'! Si tratta del titolo di un brano militante di Sergio Ortega, reso famoso in Italia proprio dagli Inti Illimani che ci hanno composto sopra una canzone.

Costretti all'esilio a seguito del golpe cileno di Pinochet del 1973, si rifugiano in Italia, dove viene loro concesso il diritto di asilo politico. Vivono prima a Genzano di Roma e poi si spostano nella capitale fino al 1988. Nel frattempo si fanno strada, un concerto dopo l’altro, ma non tengono il ricavato dei loro successi per sè, bensì mandano quasi tutto- il 90%- in patria per finanziare le campagne per la restaurazione della democrazia.

Ernesto, un intillimano dai capelli bianchi, ieri sera 04/09/2013, seduto sul bracciolo del divano, parlava con me, mia madre, mio padre e il direttore d’orchestra padrone di casa, nonché nostro vicino del piano di sotto. Noi tutti, seduti sul divano, ascoltavamo attentamente le sue parole e allo stesso tempo ci sentivamo perfettamente a nostro agio a interloquire con quell’uomo che aveva fatto la storia.

Tutti loro si caratterizzano per la loro vivacità e informalità, dopo poche parole sembra già di conoscerli da una secolo. Hanno un sorriso sincero, di chi ha sofferto a lungo e sa quali sono le cose importanti della vita. Ernesto ci dice che il loro soggiorno italiano non è stato facile, perché all’inizio vivevano in un paese, a Genzano, senza neanche potersi comprare la casa in cui vivevano.

‘Noi davamo tutto via, mandavamo tutto in Cile, tutto’, ricorda. E poi si mise a ripensare a tutte le occasioni di investimenti in case, che non avevano saputo cogliere. E infine, con un misto di rimpianto e di autocompiacimento dice: ‘in fondo, nella vita, l’importante non è comprare’. Il padrone di casa, prontamente, risponde: ‘infatti, l’importante è vendere’. E ride.

A questo punto vi starete chiedendo come mai il mio vicino di casa sia amico di un gruppo così famoso. Un giorno di tanti anni fa quando aveva dieci anni era stato portato dallo zio a sentire un loro concerto. Si innamorò a tal punto di quei suoni da comprare quegli stessi strumenti -facendo la cresima apposta per ricevere i soldi dai parenti- e fondare un gruppo ad immagine e somiglianza degli Inti Illimani, con il quale, per anni, ‘si è arricchito’.

Lo scherzo del destino ha voluto che, dopo tanti anni,  il direttore del conservatorio di Napoli un giorno lo chiama per proporgli di dirigere un gruppo cileno un po’ particolare, dal nome altrettanto strano che inizia per ‘Inti’…lui accetta. E, pur avendo un ‘terribile’ sospetto, non svela il suo segreto, ma fa finta di non conoscerli.

Prima di quel momento, effettivamente, non li aveva mai conosciuti di persona. Basta quell’occasione per fare nascere tra loro un amore così profondo e sincero da impegnare quei rivoluzionari a venire ogni anno, verso i primi di settembre, a suonare a casa del loro amico. Per questo mia madre, ignara di ciò, l’anno scorso, sentendo della musica, si affacciò su Piazza Dante, che generalmente è piena di immigrati, e pensò tra sè: ‘accipicchia che bravi questi extra-comunitari!’.

‘Questi extra-comunitari’, originariamente sei ma poi diventati sette, hanno effettivamente facce esotiche da indios, in particolare Josè il cantante, nonchè strumentista. Il suo strumento non è un flauto bensì uno strumento a fiato composto da canne di bamboo disposte in scala e unite da fibre vegetali. Per essere precisi non ne ha solo uno, ma vari, che alterna con velocità e suona con grande maestria.

Ma l’anima del gruppo è Horacio Salinas Halvarez, chitarrista e compositore. Basso, con pochi capelli e una stazza decisamente superiore alla norma, ha un fascino tutto suo. Quando sta sulla sedia con la chitarra in mano dà proprio un’immagine di completezza. Abbraccia la chitarra come fosse la sua donna e la tiene salda, solleticandole la pancia con grande disinvoltura e abilità.

Il movimento delle sue dita è ipnotico, sicuro e regolare, e sembra quasi che stia maneggiando una materia invisibile. Ha una sorprendente manualità. Guarda in basso mentre suona, tiene lo sguardo concentrato. Sente la musica da dentro e canta, con una voce calda e grave da uomo dall’ampio torace, melodie nostalgiche di chi non può tornare a casa. Alla fine però a casa c’è tornato, nell’88.

La loro è una musica sperimentale che spazia dalla musica andina alla canzone politica; altrettanto sperimentali sono gli strumenti che usano. Affiancano strumenti provenienti dalla tradizione popolare come chitarra, tiple, cuatro, quena, bombo leguero, zampogna, maracas  a strumenti provenienti dalla musica colta come violoncello, contrabbasso e violino.

Nelle loro canzoni anche la componente vocale è notevole. L’altra sera a cantare con loro c’erano dei ragazzi giovani, all’incirca della mia età, che hanno mostrato una duttilità tale da passare dalla voce alla chitarra al flauto traverso con grande facilità. Gli Inti Illimani, tuttora attivi, cercano di rimanere immortali attraverso le nuove generazioni. Questi ragazzi saranno gli inti Illimani del futuro.


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