Mercoledì 10 aprile 2013. Incontro con Amélie a San
Luigi dei Francesi e
proiezione del documentario-ritratto
‘AMELIE
NOTHOMB, UNE VIE ENTRE DEUX EAUX’ che parla del suo ritorno in Giappone.
Andando a San Luigi dei Francesi mia madre
incontra sull’autobus Daniela
Di Sora, la fondatrice delle casa editrice Voland che pubblica da sempre Amélie Nothomb. Grazie a lei
superiamo la fila e occupiamo i posti riservati. Io siedo in prima fila, a un
passo dalla ‘star’ che presto salirà sul palco.
L’attesa fa salire l’eccitazione, c’è
movimento, la gente già seduta chiacchiera per ammazzare il tempo. Non tutti
avranno la fortuna di entrare perché non ci sono abbastanza posti. Motivi di
sicurezza non lo permettono.
A un certo punto intravedo una slanciata
figura in nero dal passo elegante. È lei!
Dal cappotto nero sbuca una gonna color
ciclamino. Viso bianco, labbra rosse, lunghi capelli scuri tenuti da un
fermaglio precisamente orizzontale sobrio ed elegante, in perfetto stile
Nothomb.
Appena entra non le fanno subito l’applauso e
lei è quasi sorpresa. Ma la curiosità è così forte e la gente non osa
applaudire. Parte l’applauso. Ecco, ora lei si può sedere contenta.
Ci sono
quattro donne: all’estrema sinistra l’intervistatrice, poi Amélie, Laureline Amanieux (autrice del film documentario nonché sua cara amica) e infine l’interprete.
Mentre l’intervistatrice la introduce brevemente lei mi guarda dritto negli
occhi. Ha scelto me, io ho attratto la sua attenzione più degli altri.
Si parla subito di ‘Barbablù’, il suo ultimo romanzo. Il suo romanzo ha la funzione di
riscattare i personaggi del Barbablù di Perrault, di rendere giustizia a delle
donne troppo stupide vittime di un uomo troppo cattivo. Il protagonista è un
nobile spagnolo proprio per contrasto all’Enrico VIII Tudor al quale Perrault
si era ispirato. Secondo lei non c’è uomo più diverso da un inglese di uno
spagnolo.
Il tema
principale è quello del segreto la cui legittimità non
necessita spiegazioni, sostiene. Un segreto è segreto e basta. Tutti i segreti
sono importanti allo stesso modo.
E proprio per non svelarci segreti sul segreto
di Barbablù, Amélie risponde con una
saggezza ironica e brillante, sempre concisa ed efficace. È abituata ad
essere intervistata e a essere tradotta dall’interprete, è a suo agio sul
palco.
Si
parla di identità. Figlia di diplomatici belgi, nata
in Giappone, trasferitasi in Cina a cinque anni e poi in tanti altri posti, a
che luogo appartiene? La sua identità non è chiara, neanche a lei stessa. Per lungo tempo, pur vivendo in Belgio, si
sentiva giapponese. Per questo a ventuno anni, appena laureata in filologia
romanza, ha deciso di tornare in Giappone, il luogo della sua prima infanzia,
dell’età della vita che forse l’ha segnata di più.
La
prima infanzia è infatti il momento più importante
anche da un punto di vista linguistico: il bambino assorbe i vocaboli che sente
con una velocità e voracità sorprendenti. Ed è proprio il linguaggio infantile
quello al quale lei si rifà mentre scrive.
Eppure in Giappone lavorando per un’azienda
cade vittima di un ferreo sistema di regole spesso eccessive e vuote.
L’esperienza lavorativa giapponese la segna
a tal punto da farle ‘partorire’ ‘Stupore e Tremori’, uno dei suoi
romanzi più riusciti, forse proprio a causa della sofferenza che l’ha nutrito.
Questa esperienza non è totalmente negativa,
perché Amélie, dopo aver superato soprusi di vario genere, si rende conto di
due cose fondamentali: di non essere giapponese e di volersi dedicare alla
scrittura per il resto della sua vita.
Parallelamente a questa esperienza
nell’azienda, Amélie vive una grande storia d’amore con un giapponese che
inizialmente doveva essere solamente un allievo a cui dare lezioni private di
francese. La loro storia d’amore è raccontata in ‘Né di Eva né di Adamo’, un romanzo pieno di energia e
spiritualità.
Amélie, di fronte alla proposta di matrimonio del
giapponese Rinri, scappa. Se ne torna in Belgio dall’amata sorella. Non c’è
cosa che la spaventi di più della mancanza di libertà. Amélie, come non appartiene a nessun luogo, non appartiene neanche a
nessuna persona, né donna né uomo.
Tuttavia, ad
un certo punto Amélie ha accettato la sua ‘belgità’. Si è riconosciuta
nella fluidità del governo belga. Il Belgio è stato circa due anni senza
governo e se l’è cavata, c’è speranza anche per l’Italia allora! é un paese
giovane e che non si sa quanto durerà. Si tratta di un paese immancabilmente
paragonato alla Francia grandiosa. Un paese ‘non-paese’ perfetto per una come
lei.
Amélie
non si fa tarpare le ali da nessuno, vola attraverso
la scrittura. La scrittura sono le sue ali e da sempre la sua unica certezza in
questo mare di internazionalità alla quale è stata costretta sin da piccola.
Imprigionata a pulire i bagni dell’azienda
giapponese, trovava la sua salvezza nella defenestrazione: immaginava di
lanciarsi da quelle grandi vetrate tipiche dei grattacieli. Ma non si trattava tanto di disperazione,
quanto di desiderio di libertà.
Il suo spirito
ribelle si notava sin da quando, pur figlia di genitori conservatori e cattolici,
frequentava un’università di sinistra. Lei non sembra essere cattolica, eppure,
quando le viene chiesto dove pensa di conservare i manoscritti non pubblicati
(ha scritto circa 75 libri di cui solamente 21 sono stati pubblicati), dice che
il posto più sicuro le sembra proprio la Biblioteca Vaticana.
Finita
l’intervista/dibattito, Amélie si presta ad autografare i suoi libri. Corro a fare la fila al piano di sopra, con tutti i suoi libri che ho
letto nella borsa. Mia madre nel frattempo mi ha comprato ‘Barbe bleue’,
stavolta ho deciso di leggerla in francese.
Arrivata da lei, sono talmente agitata che non
le dico niente, le porgo soltanto i libri. Mi chiede come mi chiamo e quante
lingue parlo. Italiano, francese e inglese, rispondo. Lei mi fa una dedica in
italiano, una in francese, e una in inglese, una per ogni lingua. In un’altra
ancora scrive il suo nome addirittura in caratteri giapponesi.
Alle nove comincia la proiezione del documentario girato su di lei e in particolare sul
suo ritorno in Giappone. La regista di questo film è una sua carissima
amica francese. Non sarebbe riuscita a rivelare ‘i segreti’ del film se non a
una persona verso cui nutre un affetto così profondo e trasparente.
Il documentario ci ripropone una carrellata di
scene estremamente rappresentative e colorite. Si passa dalla commovente scena
del rincontro dopo anni con la sua tata
giapponese, la sua ‘Nunu’, che era per lei una seconda (o forse prima?)
mamma, ai lottatori di sumo, emblema giapponese nonché contrasto con l’anoressia
di cui Nothomb soffriva da ragazza. Vi è addirittura una scena in cui Amélie
riproduce l’’antimelodico’ canto giapponese al quale il padre, quando viveva in
Giappone, si dedicava dalle cinque di mattina tutti i giorni prima di andare a
lavoro, sotto la guida di insigni maestri.
Forse è proprio l’esempio paterno che l’ha
portata a sfruttare anche le primissime ore del giorno. Amélie infatti, da molti anni ormai, si dedica alla scrittura di
mattina dalle quattro alle otto, dopo aver bevuto tè scuro, secondo il
costume giapponese. Questa procedura si ripete puntualmente ogni giorno, anche
in viaggio.
Forse, Amélie, bevendo tè continuamente, spera
di ricongiungersi con l’elemento che le corrisponde di più: l’acqua.
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