giovedì 9 ottobre 2014

Bruno Citoni


Ho conosciuto Bruno Citoni a York esattamente un anno fa, tramite l'Italian Society, di cui ero la chair. La prima coincidenza è stata scoprire non solo che abitavamo entrambi a Roma, ma nello stesso quartiere, a poche strade di distanza. Poi abbiamo scoperto che avevamo gli stessi interessi: scrivere, sia testi che canzoni. E da lì è cominciata una comunicazione continua, finché un giorno io non gli ho proposto di parlare della sua musica, di come abbia cominciato a comporre canzoni ecc. E questo è quello che è uscito fuori:


'Sono convinto che tutto quello che facciamo come individui nasca da un’urgenza profonda.
L’urgenza di essere.

Ho cominciato a comporre che ero appena adolescente. E mi ricordo ancora che le prime volte che i miei amici mi canzonavano, letteralmente, a me non importava niente, perché non mi ero mai sentito così bene.
L’aver creato qualcosa che sarebbe rimasto nell’immaginario collettivo per il maggior tempo possibile mi faceva sentire vivo.
Ancora adesso, niente è come sentire amici soprappensiero mugugnare mozziconi di cose che ho scritto.
Perché significa che qualcuno di quei semi che ho sparso in questi cinque o sei anni, ed ho coltivato con lacrime e sangue, è germogliato nella vita di qualcun altro. L’arte è comunicazione.

Non è stato sempre così però. Quando cominciai ero ancora troppo immaturo per capire tutto questo, per rendermi conto di quello che stava succedendo.
Scrivevo per scrivere. E non c’era niente di vero in quello che scrivevo. Mi sedevo alla scrivania, davanti al computer e mettevo insieme note che non mi dicevano niente.
Poi è arrivata la prima chitarra, e mentre provavo a fare il barré, ed imparavo gli accordi a memoria, le cose sono cominciate a cambiare.

Le lettere, le note, hanno cominciato ad avere un senso reciproco, ad incastrarsi prima in parole, poi in versi, poi in strofe. Ma mancava ancora qualcosa. Il contenuto.
Erano ancora frasi vuote, non mie, seppur adagiate su una musica nuova, meno artefatta, derivata per la prima volta dall’approccio diretto con uno strumento come la chitarra invece che con il freddo schermo di un computer.

A questo, fortunatamente, ci ha pensato il tempo. Durante il liceo ho cominciato ad ascoltare musica nuova; ho scoperto gli Strokes, l'Indie britannico, e tutto quel panorama musicale ed artistico che mi ero lasciato scorrere addosso in quegli anni adesso improvvisamene si stava ripresentando come un'epifania.
Ho passato giornate intere a ascoltare musica, a suonare con diversi gruppi la batteria, a crearmi una identità musicale, finché un’estate non è arrivata Karolina. E solo adesso, scrivendo di tutto questo, mi rendo conto dell’impatto che ha avuto quell’esperienza sulla mia vita e su tutto quello che ho scritto di lì in poi.
Per la prima volta rigettai su un pezzo di carta tutto quello che avevo provato, e quello che venne fuori è la prima strofa di un testo. Un testo con dentro il Sonetto 130 di Shakespeare e tutte le mie emozioni.

“Karolina ha i piedi gonfi/
gonfi come avesse camminato/
una vita a piedi nudi sul selciato.

Karolina ha sulle labbra/
i segni di una guerra fredda/
combattuta senza esclusione di parole

eppure/
Karolina è/
tutto ciò che fa per me"


Da allora è stato un viaggio in discesa. Musicalmente parlando.
Perchè per quanto mi piacerebbe riuscire a scrivere quando sto bene, gli unici momenti, le cose che riesco ad esprimere meglio sono i sentimenti che mi fanno stare male, quelli che lasciano un segno. 
E mi rendo conto che, anche se in modi diversi, tutto quello che mi sento di condividere nasce con la speranza di far provare agli altri quello che ho provato io.

Così è nato “Cento giorni da pecora”.
Con la sola esclusione di “Karolina” (che rappresenta una eccezione anche rispetto alla cifra stilistica di tutti gli altri brani) tutto l'EP è nato da sentimenti che mi sono portato dietro, da Roma fino in Inghilterra, che hanno infestato la mia testa per mesi, e che ogni tanto sono riuscito a decifrare, a domare, ed a mettere nero su bianco. Sentimenti che sono morti nella mia bocca, incapace di pronunciarli, ma che sono rinati sotto forma di melodie acerbe, davanti allo specchio.
Melodie che ho mescolato con tutto quel' Indie/pop/rock/alternative italiano di cui mi sono nutrito in questi ultimi tempi tra i quali per esempio I Cani e L'orso, solo per citare i più influenti.

Mi riesce difficile quindi costringere queste canzoni in un singolo genere musicale, una sola etichetta, quando per me sono il risultato di mille stimoli diversi, provenienti da svariate direzioni.
Ma mi piace pensare di star facendo qualcosa di nuovo, “musica umile”.
Le mie canzoni non sono giardini pensili, né prati sfarzosi. Sono Myricae da coltivare, non per renderle più grandi, o più imponenti, ma più curate, più potenti nella loro semplicità.
Perchè è facile nascondersi dietro a convulsi tecnicismi, o assurde complessità.
Mentre invece quello che offro io con la mia musica è il mio cuore su piatto di carta, senza mistificazioni, senza accessorie distrazioni; sentimento puro, senza un motivo d'essere se non quello di germogliare nella testa di chi ha la pazienza di ascoltare'.

Per chi volesse ascoltare le sue canzoni questa è la sua pagina! https://www.facebook.com/pages/The-more-the-merrier/252732704852165?fref=ts



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